La povertà minorile ed educativa colpisce un minore su due al Sud Italia

I dati di Fondazione con il Sud: nel Mezzogiorno 500mila minori poveri. “I bambini sono stati i più colpiti dall’impoverimento. Servono interventi di protezione sociale, percorsi multilivello, investimenti mirati”.
ROMA – Sono circa 25 milioni i bambini a rischio esclusione sociale in Europa. In Italia quasi 1,3 milioni di minori vivono in condizioni di povertà assoluta e quasi 2,3 milioni sono in situazioni di povertà relativa. Un minore su due in povertà relativa vive al Sud. Solo nel Mezzogiorno, infatti, i minori poveri sono 500 mila e 1,2 milioni sono in situazioni di povertà relativa (rispettivamente il 39 per cento e il 52 per cento del totale nazionale). Sono i dati resi noti oggi dalla Fondazione con il Sud, la presentazione della ricerca “La povertà minorile ed educativa. Dinamiche territoriali, politiche di contrasto, esperienze sul campo”, realizzata da Srm (Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo) con il supporto di Fondazione Banco di Napoli e Compagnia di San Paolo.
Il convegno – come la ricerca – ha avuto l’obiettivo di illustrare il quadro statistico-economico della relazione tra povertà minorile e povertà educativa a livello europeo, nazionale e del Mezzogiorno in particolare. “Essere poveri sul versante materiale aumenta infatti il rischio di essere poveri dal punto di vista educativo e di conseguenza una bassa istruzione implica una maggiore difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro – spiega la Fondazione con il Sud -.Per questo stiamo cercando di tracciare un quadro delle politiche pubbliche e degli interventi per contrastare il rischio di povertà dei minori mediante l’approfondimento dei principi generali, degli obiettivi assunti e degli strumenti utilizzati a livello comunitario e nazionale”.
Secondo la ricerca poco più di un europeo su 10 tra i 18 e i 24 anni (il 10,8 per cento) non consegue il diploma di scuola superiore e lascia prematuramente ogni percorso di formazione (early school leavers), percentuale che sale al 13,8 per cento per l’Italia e al 18,4 per cento per il Mezzogiorno. In Italia i Neet (Not in Education, Employment or Training) sono oltre 3,2 milioni, (il 26 per cento della fascia dei giovani tra i 15 e i 34 anni); nel Mezzogiorno sono 1,8 milioni, oltre la metà del totale nazionale. Nel solo 2016, le Fondazioni di origine bancaria hanno erogato oltre 413 milioni di euro per il welfare ed il contrasto alla povertà (circa il 40% del totale delle loro donazioni, pari ad oltre 1 miliardo di euro). Sostenendo più di 5.500 interventi destinati a giovani e altri soggetti deboli, per migliorare la loro vita e favorire la crescita di comunità coese e solidali.
Stando al nostro paese il dossier evidenzia come la percentuale di cittadini a rischio di povertà ed esclusione sociale è in Italia più elevata rispetto alla media dei Paesi Ue, interessando il 30 per cento della popolazione. In termini assoluti oggi in Italia si contano oltre 4,7 milioni di poveri. Nel 2016, in particolare, l’incidenza della povertà assoluta sale al 26,8% dal 18,3% del 2015 tra le famiglie con tre o più figli minori, coinvolgendo oltre 137 mila famiglie (e 814 mila individui). In relazione all’istruzione del capofamiglia, la povertà ha una maggiore incidenza in quelle famiglie dove la persona di riferimento ha soltanto la licenza elementare. Un dato che denota l’esistenza di una correlazione inversa tra povertà e istruzione generata dal fatto che il futuro occupazionale è influenzato dal titolo di studio posseduto. Inoltre, sempre secondo il dossier, il tasso di povertà aumenta considerando i minori. In Italia sono 1 milione 292 mila i minori che vivono in povertà assoluta e 2 milioni 297 mila quelli che vivono in situazioni di povertà relativa (il 22,3% della popolazione di riferimento, quasi un minore su quattro). I bambini sono stati i più colpiti dal generale impoverimento della popolazione: tra il 2005 e il 2016 la percentuale di minori in povertà assoluta è passata dal 3,9% al 12,5% del totale dei minori. Se – come visto – per la popolazione e le famiglie in generale la povertà assoluta è raddoppiata, per i minori e per le famiglie con almeno un figlio minore è più che triplicata. Solo negli ultimi tre anni la popolazione minorile afflitta da povertà assoluta è aumentata di 250 mila unità passando da 1,045 milioni del 2014 a 1,292 milioni del 2016 (dati Istat, Rapporto sulla Povertà in Italia – anno 2014 e anno 2016).
Per la Fondazione con il Sud la povertà minorile oggi è una sfida universale. Essa riguarda gli individui, le famiglie e le economie di tutto il mondo, a prescindere dai prodotti nazionali, dal livello di sviluppo o dalla posizione geografica ed è una effettiva misura complessiva dello sviluppo. Per questo“affrontare la povertà e l’ineguaglianza nell’infanzia è cruciale per garantire ai bambini pari opportunità di vita, per interrompere il ciclo inter-generazionale della povertà (minorile, educativa, lavorativa) e per permettere una crescita inclusiva e sostenibile”. Inoltre è necessario porre fine alla povertà minorile e fornire pari opportunità di apprendimento e di relazione, permette al singolo bambino e ragazzo di sviluppare appieno le proprie potenzialità, di contribuire alla coesione sociale e all’economia e, se diventerà genitore, di evitare che i propri figli vivano in povertà. I possibili fattori di intervento sono quindi molteplici, multidimensionali e intergenerazionali: innanzitutto bisogna agire sul contesto economico e sociale riducendo gli squilibri territoriali e le disuguaglianze interne. “La connessione tra condizioni economiche e probabilità di successo e di mobilità sociale è talmente rilevante che appare un percorso non procrastinabile nel tempo – si legge nel dossier -. In questo campo entrano sia le politiche di sostegno allo sviluppo economico territoriale, sia azioni mirate a sostenere i livelli dei salari e le misure di conciliazione vita-lavoro”. Inoltre, servono interventi di protezione sociale per affrontare la povertà monetaria, con ricadute positive su molte deprivazioni del bambino. “Le politiche economiche e sociali hanno un ruolo importante nel contrastare il rischio di esclusione. I paesi che spendono di più in trasferimenti alla famiglie e agevolazioni fiscali alle famiglie con bambini sono quelli che hanno maggiore successo nella lotta alla povertà”. Si chiede poi di sostenere con azioni mirate ed efficaci la prima infanzia con investimenti pubblici e privati nei sevizi educativi ad essa dedicati. I bambini più piccoli sono infatti i più colpiti dai fenomeni di povertà e rischio di esclusione sociale, ed il cui supporto può generare il maggior impatto nel lungo termine. “Questo è il momento più importante dello sviluppo cognitivo, emotivo e psicologico, e la deprivazione può compromettere la crescita del bambino e potenzialmente impattare con conseguenze gravi e durature sul suo percorso verso la vita adulta” scrivono i ricercatori. Bisogna anche investire risorse e idee sull’istruzione, sull’inclusione scolastica e sulla transizione scuola-lavoro. “È l’unica reale strada per raggiungere i risultati voluti. I percorsi anche in questo caso sono multilivello: aumentare la partecipazione scolastica, integrare e supportare la didattica verso gli obiettivi di inclusione e supporto alla crescita socio-culturale, adeguare quantitativamente e qualitativamente le infrastrutture e migliorare la qualità e l’efficacia dei servizi di assistenza e “tutoraggio” per i ragazzi in condizioni di difficoltà familiare ed ambientale”. Infine si propone di operare con politiche volte all’inserimento concreto e sostenibile dei giovani nel mondo del lavoro, riducendo quell’insieme ad alto rischio di emarginazione sociale e ad alto impatto sulla potenzialità di crescita economica dell’intero sistema produttivo, rappresentato dai Neet.
Fonte Redattore Sociale

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