Sui volontari stranieri la nuova ricerca di CSVnet

Si intitola Volontari inattesi ed è la prima indagine nazionale sull’“impegno sociale delle persone di origine immigrata”. Curata da Maurizio Ambrosini e Deborah Erminio per il centro studi Medì, è stata promossa da CSVnet e condotta sul campo nel 2019 con l’apporto determinante dei Centri di servizio per il volontariato.
I risultati che ne emergono – raccolti in un volume edito da Erickson (352 pagg.) che sarà presentato il 17 aprile prossimo a Roma – rovesciano una delle immagini più diffuse degli stranieri, rappresentati spesso dai media come beneficiari, se non profittatori, di aiuto da parte degli italiani: dimostrano invece che esiste un buon numero di immigrati che si impegnano in attività solidali gratuite, più o meno formali, anche o soprattutto a vantaggio della popolazione italiana. “È in un certo senso un’esplorazione dell’altra faccia della luna, – ha scritto Ambrosini nell’introduzione: – abbiamo voluto guardare alle persone di origine immigrata che passano metaforicamente dall’altra parte della linea rossa che distingue fornitori e percettori di aiuti”.
Integrati o marginali?
L’indagine non aveva ovviamente il solo scopo di “attrarre l’attenzione su un fenomeno emergente ma misconosciuto”. Si proponeva anche di comprendere con maggiore precisione chi fossero le persone coinvolte, e in particolare se la loro partecipazione attraverso il volontariato si accompagnasse “con un’integrazione sociale già avanzata su altri piani, come lo studio, il lavoro, l’accesso alla cittadinanza”, oppure se fosse praticata “soprattutto da soggetti marginali, in forme compensative di una mancata inclusione nella società dal punto di vista economico e culturale”.
In tal senso, i primi dati quantitativi presentati lo scorso ottobre alla conferenza di CSVnet a Trento avevano già delineato una “tipologia” di immigrati giovane, istruita e ben integrata. Un identikit che tuttavia risulta ora troppo limitativo per descrivere le innumerevoli sfumature messe in luce dal rapporto finale.
Un altro obiettivo della ricerca era “l’approfondimento delle motivazioni della partecipazione: quali spinte interiori o sollecitazioni esterne inducono a impegnarsi, quali benefici le persone perseguono, quali percorsi intraprendono”. Un ultimo obiettivo riguardava la dimensione associativa: quali contesti si rivelano più ricettivi, e in quali attività gli immigrati si inseriscono con maggiore facilità? E se per le organizzazioni l’ingresso di queste persone può essere senz’altro un’occasione di apertura culturale e di adeguamento operativo, in quali modi esso può anche suscitare resistenze e incomprensioni?
La “matrice” nazionale
Attraverso quasi 700 questionari e 110 interviste in profondità, raccolti in 163 città italiane, la ricerca fa dunque parlare i protagonisti, provenienti da 80 paesi diversi. Ma aggiunge anche il racconto dettagliato di 10 progetti di eccellenza attivi nella penisola, e riporta le esperienze e i dati di 5 grandi reti nazionali del terzo settore (Avis, Misericordie, Fai, Touring Club, Aido) che si avvalgono nelle loro attività del contributo volontario di cittadini di origine immigrata.
Dandosi però alcuni precisi criteri per identificare la platea da indagare. Anzitutto la definizione “di origine immigrata” è stata intesa in senso ampio, “comprendendo anche stranieri naturalizzati e seconde generazioni”. In secondo luogo, tra le attività di volontariato sono state incluse non solo quelle strutturate e promosse da associazioni formali, ma anche quelle più informali, in sintonia con le tendenze attuali verso un “volontariato post-moderno”.
Inoltre è stata focalizzata l’attenzione sulle situazioni in cui queste persone collaborano con italiani per discendenza e con associazioni autoctone, ossia sulle forme più tipiche dell’impegno volontario, non considerando quindi le associazioni “di immigrati per immigrati” (su cui esistono già diverse ricerche locali). Infine è restato a margine della ricerca il fenomeno del lavoro volontario dei richiedenti asilo, “un impegno, – si spiega nell’introduzione, – generalmente encomiabile, ma di natura spuria, in quanto previsto da norme di legge e organizzato dai soggetti gestori dell’accoglienza”, e dove “i richiedenti asilo partecipano, spesso volentieri, ma non hanno molti margini di scelta”. In sintesi, dunque, il lavoro riguarda “principalmente persone di origine immigrata che scelgono liberamente di dedicare tempo ed energie ad attività con finalità sociali, in contesti organizzativi di matrice nazionale e collaborando con volontari italiani”.
Da sottolineare infine il ruolo della rete dei Centri di servizio per il volontariato, che si è fatta carico della diffusione e somministrazione del questionario, nonché della maggior parte delle interviste: “Si può parlare quindi di una ricerca partecipata, – ha sottolineato Ambrosini, – che ha valorizzato la presenza e il rapporto dei Csv con le associazioni dei territori e con il volontariato di origine immigrata, stimolando nello stesso tempo l’interesse per il fenomeno”.
Da oggi tutti gli articoli su “Volontari inattesi” sono raccolti in un focus sul sito di CSVnet, insieme alle storie di alcune delle persone di origine immigrata intervistate per la ricerca.
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