Figlio di irregolari, ma nato in Italia: può ottenere la cittadinanza

Il Tribunale di Milano ha accolto il ricorso di un giovane filippino, che si era visto negare la cittadinanza dal Comune, perché i suoi genitori per due anni erano stati senza permesso di soggiorno. Secondo i giudici le “colpe” dei genitori non possono ricadere sui figli.
MILANO – Il figlio di immigrati senza permesso di soggiorno, ma nato in Italia, può diventare cittadino italiano. Lo ha stabilito il Tribunale di Milano che ha accolto il ricorso di un giovane filippino, H.G., nato nel 1994 all’ospedale Buzzi e che ha frequentato sempre e solo le scuole in Italia, dalla materna fino al diploma di liceo scientifico. La sua “colpa” era, secondo il Comune di Milano, di avere due genitori che, quando è nato, erano senza permesso di soggiorno, anche se poi lo hanno ottenuto nel 1996. E solo nel 1996 avevano pertanto iscritto il figlio all’anagrafe. Per questo motivo il Comune negava a H.G. la cittadinanza italiana. La legge n. 91 del 5 febbraio 1992 (art. 4 2° comma) riconosce infatti il diritto ai ragazzi nati in Italia da genitori stranieri di diventare cittadini italiani appena diventati maggiorenni, presentando una semplice dichiarazione di volontà all’Ufficio di stato civile del proprio comune di residenza. Tra l’altro, H.G. aveva anche ricevuto una lettera dal Comune di Milano in cui veniva invitato a presentare la domanda, salvo poi respingergliela.
Secondo il collegio della prima sezione civile del Tribunale di Milano, presieduto dal giudice Roberto Bichi, le “colpe” dei genitori non possono ricadere sui figli. “Il requisito della regolarità del soggiorno dei genitori del richiedente la cittadinanza, non è previsto quale condizione per il riconoscimento della cittadinanza ai sensi dell’art.4, co.2, legge 91/1992 -scrivono nella sentenza del 29 gennaio 2015-. La condizione necessaria (e sufficiente, insieme alla nascita in Italia ed alla dichiarazione entro il diciannovesimo anno) è solamente la legale ed ininterrotta residenza dalla nascita al diciottesimo anno di età dell’interessato”.
“Casi del genere succedono di frequente – spiega l’avvocato Alberto Guariso che, insieme a Livio Neri, ha curato il ricorso -. Capita che ci siano errori nell’iscrizione all’anagrafe o che i genitori non la facciano subito. La legge del 2013 è però molto chiara, in quanto ciò che conta è l’essere nati ed essere effettivamente vissuti in Italia e per dimostrarlo basta per esempio l’aver frequentato le nostre scuole. Il problema è che ci sono ancora comuni che negano la cittadinanza ai neo diciottenni per cavilli o errori burocratici. C’è quindi una disparità di trattamento in base al comune in cui si risiede: in uno si ottiene la cittadinanza e magari in quello confinante no”. (dp)
Fonte Redattore Sociale

 

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