Italia in prima fila nell’economia sociale.

VALORI IN CORSO 

Tra le definizioni proposte negli ultimi anni per identificare l’insieme delle organizzazioni private che operano senza scopo di lucro con finalità di bene comune, quella di economia sociale è la più inclusiva ma, paradossalmente, la meno utilizzata. Rispetto alla dicitura “non profit” non paga il dazio di una negazione che potrebbe apparire limitativa. Rispetto all’espressione “Terzo settore” non contiene alcuna valutazione implicita di rilevanza. E molti altri vantaggi si potrebbero aggiungere al concetto di economia sociale, se nonchè, proprio per la sua inclusività, che può leggersi anche come genericità, si preferisce solitamente un inquadramento più mirato. 
Esemplare, nel nostro Paese, la parabola dell’acronimo ONLUS (Organizzazione non lucrativa di utilità sociale), identificato solo da una caratteristica fiscale e ora destinato a completa revisione. 
La formula dell’economia sociale è tornata d’attualità da qualche tempo, sia a livello europeo, grazie all’impegno delle istituzioni comunitarie, dei singoli Paesi e delle forze sociali per dare vita a un “mercato sociale” che affianchi le politiche pubbliche, sia nel nostro Pese, dove il Governo è atteso al varo dei decreti legislativi che daranno attuazione alla legge 106/16 di riforma del Terzo settore. 
Sul fronte europeo, a fine maggio 11 Paesi Ue hanno siglato una dichiarazione comune per la creazione di un’economia sociale integrata, al termine di una conferenza internazionale svoltasi a Madrid per iniziativa del ministero del Lavoro spagnolo e della Cepes, la confederazione spagnola di imprese sociali. Il protocollo, dal titolo “L’economia sociale come modello per il futuro dell’Unione europea”, impegna i firmatari a un piano d’azione per lo sviluppo economico che ponga in primo piano le politiche di inclusione delle persone svantaggiate o vulnerabili e che coinvolga tanto le organizzazioni non profit quanto le imprese socialmente responsabili. La convention ha visto rappresentati soprattutto i Paesi mediterranei (erano assenti Germani a e Francia), ma il messaggio programmatico è apparso chiaro. La Commissione UE è stata, tra l’altro, invitata a predisporre un piano triennale 2018/2020 per promuovere e coordinare le diverse forme di economia sociale. L’Italia si è trovata in prima fila perchè come ha ricordato a Madrid il sottosegretario al Lavoro Luigi Bobba, “il nostro Paese è da sempre grande sostenitore dell’economia sociale come fattore di crescita per l’Europa” e presenta già oggi un’ampia gamma di esperienze di successo, in grado di fungere da best practices
Sul fronte nazionale, l’attualità della forum è strettamente correlata all’attesa per l’emanazione dei decreti delegati di attuazione della riforma del Terzo settore, in dirittura d’arrivo. Sotto la lente, il provvedimento sull’impresa sociale che, come previsto dalla legge delega, aprirà i confini a tutte le organizzazioni private che esercitino attività d’impresa di interesse generale, senza scopi di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Non solo: i campi di intervento, rispetto a quelli già previsti dalla disciplina specifica del 2006 sull’impresa sociale, risulteranno ampliati, andando a ricomprendere la valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio, la formazione universitaria e post lauream, la ricerca scientifica, le attività turistiche e ricreative. 
Una rivoluzione annunciata, insomma, che può dilatare l’area dell’economia sociale, a condizione di non creare distorsioni all’interno dell’universo delle forme non profit. 
Per comprendere la portata della questione basta considerare lo stato dell’arte dal punto di vista statistico. Secondo il censimento Istat 2011, ultima rilevazione generale disponibile, le cooperative sociali sono circa 12 mila, mentre le associazioni non riconosciute sono oltre 200mila. Ci sono, inoltre, poco meno di 70mila associazioni riconosciute, quasi 7mila fondazioni, 14mila “altre istituzioni” e 1300 imprese sociali definite come tali in base alla legge istitutiva. 
Il pluralismo delle forme giuridiche deve fare i conti, nella sostanza, con il fatto che tutte queste realtà operano nell’ambito dell’economia sociale, con finalità di bene comunque, con modelli di governance e organizzativi analoghi, per non dire delle fonti di finanziamento e dei target di riferimento. 
L’attuazione della riforma del Terzo settore, dunque, è un’opportunità per ridare smalto alla formula dell’economia sociale e, al tempo stesso, per arricchirne i contenuti, purchè si scongiuri il rischio di creare nuovi artificiosi steccati. 

FONTE: Il sole 24 Ore
AUTORE: Elio Silva
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